Benvenuti sul sito dello Studio Legale Sparti
OPERATORI DEL DIRITTO
Lo Studio Legale Sparti si innesta nel solco della storia giuridica della famiglia Sparti, il cui operare nel diritto, a partire dal 1779, è documentato dagli atti notarili rogati da Stefano Sparti.
La tradizione è il tratto caratteristico di uno studio a servizio dei propri clienti, oltre che, su un piano più generale, della comunità intera.
* i numeri sopra indicati sono ricavati sulla base di stime e possono non corrispondere ai dati reali per difetto o eccesso
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Diritto
Lo Studio assiste i propri clienti innanzi ai Tribunali Civili, Penali ed Amministrativi di ogni ordine e grado, comprese le giurisdizioni superiori e quelle europee.
Il processo, nel corso del tempo e delle numerose riforme che si sono succedute, è divenuto sempre più complesso ed è reso più arduo da numerosi termini di decadenza e relative barriere preclusive.
Per tale ragione le attività che uno studio legale deve svolgere per assistere i propri clienti sono molteplici e si dividono tra quelle più tecniche, quali stesura degli atti processuali e discussione in udienza, e quelle materiali, quali deposito atti e documenti, richiesta copie, ecc.
Al fine di provvedere alla molteplicità di adempimenti che si rendono necessari per il buon esito del giudizio lo Studio si avvale oltre che di un qualificato e competente personale dall’esperienza pluridecennale anche di moderni software di gestione dei clienti e delle scadenze processuali, nonché delle più ampie aggiornate banche dati giuridiche.
Aree di Attività
Lo studio Sparti assiste i propri clienti innanzi ai Tribunali Civili, Penali ed Amministrativi di ogni ordine e grado, comprese le giurisdizioni superiori e quelle europee. Un colloquio preventivo è spesso necessario ad evitare irreparabili errori giacchè troppo spesso ci si rivolge all’avvocato dopo che i problemi sono emersi in tutta la loro gravità. La consulenza consente di rendere edotto il cliente dei termini giuridici della questione, dei passi corretti da compiere e di quelli da evitare. In questa fase lo Studio provvede, ove richiesto, alla stesura di pareri motivati, o di lettere necessarie in relazione alle circostanze. Lo sforzo dello Studio è volto a mettere a disposizione dei clienti sin da subito la propria esperienza tecnico-giuridica onde evitare, quando possibile, la lite giudiziaria. Il maggiore interesse della clientela si rivolge ai seguenti settori (per i quali agevoliamo il contatto mediante il form a fianco):
Il diritto delle assicurazioni è il complesso delle norme che disciplinano i vari aspetti del contratto di assicurazione.
Questa branca giuridica regola sia l’attività delle imprese assicurative, sia ogni questione attinente alla “genesi” ed alla “vita” delle polizze, e cioè alla copertura risarcitoria da esse prevista per i sinistri che dovessero verificarsi.
Nel corso degli ultimi anni il sistema normativo assicurativo si è arricchito di numerose novità di legge e regolamentari che hanno ridefinito i perimetri applicativi dei doveri risarcitori gravanti in capo alle compagnie assicurative.
Lo studio Sparti cura con particolare attenzione ogni aspetto conseguente al verificarsi del sinistro, raggiungendo nella stragrande maggioranza dei casi degli accordi transattivi con le compagnie, anche in seguito all’avvio di procedimenti giudiziali, così da realizzare l’interesse dei clienti nel minor tempo possibile.
Il diritto bancario è quella branca del diritto che attiene alla banca come istituzione e come soggetto attivo o passivo di rapporti giuridici. In base a questa basilare distinzione, possono subito individuarsi due prospettive di studio della materia.
La prima è quella dello studio dell’istituto di credito in senso statico-pubblicistico, nella sua dimensione giuridica, nei rapporti giuridici attivi e passivi con gli organi di vigilanza; la seconda è quella dinamica-privatistica, come studio dell’attività dell’istituto bancario, delle esigenze economiche che l’istituzione creditizia è volta a soddisfare, degli strumenti giuridici dei quali questa si serve, secondo ciò che la legge prevede.
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Branca del diritto insorta recentemente, su espressa richiesta dell’Unione Europea (a partire dalle direttive CEE del biennio 1984-1985), e che ha registrato un prepotente sviluppo. E’ caratterizzata da notevole rilevanza sociale poichè investe i rapporti continui e crescenti tra le imprese ed i fruitori finali dei loro servizi vale a dire i consumatori. E’ disciplinata da innumerevoli fonti normative che, di sicuro, non si esauriscono soltanto nel Codice del Consumo.
Il compito più difficile per il professionista che si occupa della materia consiste esattamente nel coordinamento tra le norme consumeristiche proprie e quella rinvenientesi, a carattere sparso, tanto nel Codice civile quanto in quello di rito, oltre che, su di un piano ancora più generale, sulle direttive continuamente emanate sul punto dall’Unione Europea.
L’efficacia delle azioni giudiziali è altamente legata alla conoscenza profonda di questo complesso normativo
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Secondo la definizione contenuta nella legge n. 3 del 27.1.2012 s’intende per “sovraindebitamento” una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni (formula quest’ultima mutuata dalla definizione di insolvenza contenuta nell’art. 5 della Legge Fallimentare).
Con riferimento alle tipologie di sovraindebitamento si può distinguere tra sovraindebitamento attivo, cioè causato dall’individuo, o dal prestito irresponsabile, o da pratiche commerciali scorrette, e sovraindebitamento passivo, cioè per il verificarsi di fattori esterni e non prevedibili, estranei a qualsiasi volontà.
La menzionata legge “Centaro” prevede una normativa specifica in tema di “usura ed estorsione, nonché di composizione delle crisi di sovraindebitamento”.
Le situazioni di sovraindebitamento possono superarsi così attraverso un accordo di ristrutturazione dei debiti sulla base di un piano che assicuri il regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo stesso, compreso l’integrale pagamento dei titolari di crediti privilegiati ai quali gli stessi non abbiano rinunziato anche parzialmente. L’accordo prevede la ristrutturazione dei debiti del soggetto sovraindebitato e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, tra le quali anche la cessione di redditi futuri.
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In diritto si definisce espropriazione forzata il procedimento esecutivo, di natura coattiva, diretto a sottrarre al debitore determinati beni facenti parte del suo patrimonio e a convertirli in denaro mediante la vendita ai pubblici incanti, o altre procedure, al fine di soddisfare il creditore procedente, in attuazione della loro funzione di garanzia generica delle obbligazioni ex articolo 2740 del codice civile italiano.
Si hanno diversi tipi di espropriazione forzata:
- esecuzione forzata mobiliare
- esecuzione forzata immobiliare
- esecuzione forzata presso terzi
L’importanza del processo espropriativo discende dal fatto che costituisce la realizzazione del credito, il momento in cui il credito azionato si trasforma in denaro messo a disposizione del procedente. Tuttavia, vista dal lato passivo, cioè di colui che subisce l’esecuzione, l’espropriazione rappresenta una fase processuale particolarmente difficile ed intensa in cui possono verificarsi danni irreparabili ove non vi sia il vigile controllo del debitore, con annessa la possibilità di proporre opposizioni in difesa delle sue condizioni.
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I contratti rappresentano la figura giuridica intorno a cui di incentra, nell’odierna economia globale, la formazione di diritti nazionali ed anche transnazionali. Il Codice Civile assegna ai contratti una funzione fondamentale nella definizione degli assetti dell’intera comunità, conferendo agli accordi delle parti che sono ad essi sottesi il potere legale di costituire, modificare od estinguere fra loro un rapporto giuridico patrimoniale.
La vasta regolazione del contratto si articola, nel codice civile, in due serie di norme: una prima riguarda i contratti in generale; una seconda i “singoli contratti”, ossia quei contratti di cui viene normativamente prefissata una ben precisa disciplina tipica. La regola cardine del fenomeno contrattuale è, comunque, rappresentata dall’autonomia riconosciuta alle parti nel declinare l’accordo secondo delle volontà soggettive ed individuali così da renderlo il più corrispondente alle esigenze personali dei contraenti.
Pur avendo l’autonomia contrattuale grande riconoscimento, essa, tuttavia, non è illimitata, tant’è che l’art. 1322 afferma che le parti possono determinare il contenuto del contratto “nei limiti imposti dalla legge”. La professione legale consente, da un lato di assistere i clienti nella stesura di contratti molto complessi così da metterli al riparo da sanzioni d’invalidità idonee a neutralizzare gli assetti auspicati dai contraenti, dall’altro, di agire nei confronti delle controparti laddove violino i patti liberamente assunti in seno alle previsioni contrattuali. Tale violazione prende il nome d’inadempimento e determina il diritto in favore della parte diligente al risarcimentoi del danno subìto.
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Il diritto di famiglia costituisce il settore del diritto privato che disciplina i rapporti famigliari nella loro accezione più ampia, trattando questioni attinenti ai rapporti di coniugio, di filiazione, di adozione, di parentela ed affinità.
La sua disciplina fondamentale si rinviene all’interno del Codice Civile che dedica alla famiglia il primo libro, intitolato “Delle persone e della famiglia”.
L’intera disciplina ha subìto col tempo profondi modifiche che tratteggiano un quadro completamente diverso da quello delineato al momento dell’introduzione del Codice Civile. Basti pensare al passaggio dalla subordinazione della moglie al marito alla loro assoluta parità, o alla dismissione del trattamento deteriore che, prima della riforma di cui alla legge n. 151/1975, veniva riservato ai figli adulterini.
La cronologia delle leggi susseguitesi in materia tiene conto dei cambiamenti sociali e dei progressi scientifici (si pensi alla procreazione assistita o alla rettificazione del sesso) determinando, così, una continua trasformazione della fisionomia della famiglia, fonte spesso e volentieri di accessi dibattiti d’impronta ideologica.
Nel 1967 la legge n. 431 integrò le norme del codice in tema di adozione e affido, che successivamente vennero riformati con la legge n. 184/1983 e con la legge 149/2000
Nel 1970 venne introdotto il divorzio (legge n. 898/1970), la cui disciplina venne modificata nel 1987 (legge n. 74/1987); simile poossibilità era giàstata ventilata, in verità, molto prima, in sede di assemblea costituente. Le forze di sinistra volevano addirittura introdure tale istituto già nella Costituzione, ma ciò incontrò la ferrea opposizione delle foze democristiane che, essattamente al contrario, volevano, invece, che in Costituzione fosse presente un accenno all’indissolubilità del matrimonio. Alla fine il compresso fu raggiunto all’art. 29 della Costituzione secondo cui “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.
Con la legge n. 121/1985 (legge che rese esecutivo l’accordo del 1984 che modificò il Concordato del 1929) venne modificata la disciplina del matrimonio concordatario, come disciplinato in epoca fascista.
La legge n. 40/2004 regolamentò la procreazione assistita, mentre la legge n. 54/2006, la cosiddetta legge sull’affidamento condiviso rivoluziona l’assetto dei rapporti genitori-figli così come disciplinato dal codice civile.
Di recente la cosiddetta legge sulle unioni civili, Legge 20 maggio 2016 n. 76, inevitabilmente ridelineerà la fisionomia della famiglia, allontanandosi dalla sua qualifica costituzionale come “società naturale fondata sul matrimonio”.
La stessa previsione di nuclei di convivenze omosessuali mette se non altro in crisi l’aggettivazione “naturale” e l’affermazione ideologica che una famiglia debba necessariamente fondarsi su di un matrimonio. Si tratta dell’inesorabile scorrere del tempo capace di erodere quelle che in importanti fette da popolazione appaiono come convinzioni incrollabili. Sono i cc.dd. temi etici di cui l’ambito famigliare presenta, forse, la maggiore fonte.
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Costituisce fatto illecito, secondo la nozione che ne dà l’art. 2043 c.c. “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto”. I fatti illeciti sono inseriti dall’art. 1173 c.c. tra le fonti delle obbligazioni, unitamente a contratti ed agli altri atti o fatti idonei a produrle.
Il danno causato dal fatto illecito necessità di riparazione: nella generalità dei casi essa consiste nell’obbligazione di pagare una somma di denaro che rappresenta l’equivalente monetario del danno, individuato mediante consulenze di tecnici o mediante apposite tabelle di riferimento (ad es. per il danno alla salute); in altri casi, ove possibile, si può anche riparare il danno mediante il c.d. risarcimento in forma specifica, che può dare luogo ad un obbligazione di fare.
Per indicare questo tipo di responsabilità si usa parlare correntemente di: responsabilità extracontrattuale, per marcarne la differenza da quella (c.d. contrattuale) che trae origine dalla violazione di contratti e di obbligazioni in genere nascenti dagli atti e fatti indicati all’art. 1173 c.c.; ma anche di responsabilità civile al fine di contrapporla, in tal senso, alla responsabilità penale cui è sottoposto l’autore di un fatto illecito previsto dalla legge come reato e da cui si attingono i principi fondamentali in punto di causalità.
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I diritti sulle cose (iura in re) vengono definiti giuridicamente come diritti reali. Nel nostro ordinamento sono sette: la proprietà, che è il diritto più pieno; e, inoltre, i diritti di superficie, di enfiteusi, di usufrutto, di uso, di abitazione, di servitú. Ogni diritto reale consiste in un maggiore o minore potere che il titolare può esercitare sul bene. La proprietà è il potere piú ampio ed ha un contenuto potenzialmente illimitato.
Gli altri diritti sono, viceversa, limitati o parziari o minori; talvolta si esauriscono in una sola facoltà.
I diritti reali rientrano nella più ampia categoria dei diritti assoluti, categoria che si distingue da quella dei diritti relativi, tra i quali troneggia, per la sua importanza nell’economia complessiva, il diritto di credito o di obbligazione.
Assolutezza e relatività però non sono sempre sufficienti per cogliere la differenza tra diritto reale e diritto di obbligazione.
L’art. 42, comma 2°, della Costituzione afferma: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”
La norma costituzionale esprime, quindi, l’esigenza di una destinazione sociale, ossia per il vantaggio di tutti, delle proprietà dei singoli e ciò è stato da sempre riconosciuto come un arresto in favore dello Stato al diritto potenzialmente illimitato del proprietario, un temperamento, rimesso in ultima analisi alla discrezionalità giudiziale, attraverso cui coordinare gli interessi particolari dei proprietari e quelli della società.
L’art. 832 del codice civile sancisce, infatti che “il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. Emblematico è la disciplina delle c.d. immissioni ad esempio di fumo o di calore che attribuisce al giudice il potere di « contemperare » le ragioni della proprietà con altre esigenze, come le esigenze della produzione.
In ogni caso nell’ambito dei diritti reali è altissimo il contenzioso che ne scaturisce; si pensi, ad esempio, al settore condominiale che altro non è che la regolamentazione di una particolare comunione di beni immobili. Non a caso la sapienza antica diceva che Communio est mater rixarum.
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La successione è il fenomeno che disciplina la destinazione dell’eredità. L’eredità, infatti, è devoluta o per legge o per testamento (art. 457 c.c.). Nel primo caso si parla di successione legittima (o ab intestato), nel secondo di successione testamentaria.
Diversa dalle due ipotesi è la successione necessaria, vale a dire quella che interviene laddove il de cuius abbia in vita, con testamento o con altri atti di liberalità, pregiudicato i diritti che la legge riserva ai legittimari. I legittimari sono il coniuge, i discendenti o gli ascendenti.
Mentre, quindi, nella fisionomia della successione necessaria il rapporto famigliare è inteso in senso molto ristretto, in quella legittima il perimetro dei rapporti famigliari si allarga notevolmente inglobando tutti i parenti fino al sesto grado. Nel primo caso, il diritto successorio viene sia pur parzialmente sottratto al potere dispositivo del de cuius; nel secondo caso, invece, il diritto successorio degli eventuali eredi diversi da coniuge, discendenti ed ascendenti, opera solo in assenza di diverse disposizioni del de cuius.
Per succedere a qualcuno, però, oltre a figurare come chiamati alla successione, occorrono due condizione: una positiva e l’altra negativa. La prima attiene alla capacità di succedere, la seconda all’assenza d’indegnità.
Sono capaci di succedere le persone fisiche e, nelle successioni testamentarie, gli enti (associazioni, fondazioni, società) riconosciuti come persone giuridiche o non riconosciuti. Le persone fisiche sono capaci di succedere solo se già concepite al tempo in si apre la successione, il che si verifica nell’istante della morte. E’ tuttavia consentito al testatore di lasciare beni anche al figlio non ancora concepito di una data persona già vivente.
Quanto alla condizione negativa, vale a dire l’assenza d’indegnità, si esclude che possano succedere le persone che abbiano commesso gravi illeciti nei confronti del defunto o dei suoi parenti.
La successione, essendo fenomeno naturale ed inevitabile, determina l’insorgere di frequenti ed importanti liti giudiziarie che necessitano di un sapere particolarmente approfondito da parte degli avvocati chiamati all’assistenza legale. Si annidano nelle cause ereditarie molte insidie che vanno prontamente fronteggiate e previste sin dai primi atti del giudizio.
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Il diritto amministrativo è un ramo del diritto pubblico le cui norme regolano l’organizzazione dell’Amministrazione pubblica, le attività di perseguimento degli interessi pubblici e i rapporti tra le varie manifestazioni del potere pubblico e i cittadini.
La sua genesi è da collegare al principio di divisione tra i poteri dello Stato, principio elaborato da Montesquieu e da lui espresso nello scritto “lo spirito delle leggi” del 1748, secondo il quale il potere dello Stato deve suddividersi in: potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario. Il potere amministrativo, originariamente definito «esecutivo», consiste nell’organizzazione di mezzi e di persone cui è devoluta la funzione di raggiungere gli obiettivi di interesse pubblico definiti dall’ordinamento.
L’azione amministrativa dello Stato non è sconfinata e priva di limiti, essendo, al contrario, circoscritta da principi di rango costituzionale, come quello di legalità, secondo il quale l’amministrazione può esprimersi solo attraverso l’emanazione degli atti amministrativi previsti e tipizzati dalla legge (principio di tipicità) e al solo scopo di perseguire il fine indicato dalla legge (principio di nominatività).
Dalla violazione di tali principi, così come di altri (ad esempio di buon andamento, d’imparzialità, di responsabilità), deriva la patologia dell’atto amministrativo, in termini di sua nullità, inesistenza ed annullabilità. Compito del bravo avvocato è tutelare il cittadino dagli atti pubblici che ne minacciano la libera estrinsecazione della personalità e che violano suoi diritti.
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Il diritto tributario è l’insieme di norme volte alla costituzione e alla regolamentazione dei tributi che il contribuente è tenuto a versare allo Stato.
Le fonti del diritto tributario sono le leggi e gli altri atti aventi valore di legge in relazione alla riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. secondo cui: “Nessuna prestazione personale patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
La potestà legislativa in materia tributaria spetta, a norma dell’art. 117 Cost., allo Stato e alle Regioni.
Allo Stato è attribuita in via esclusiva la potestà di disciplinare il sistema tributario dello Stato e di stabilire i principi fondamentali del sistema tributario complessivo; le Regioni hanno potestà legislativa concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario ed hanno potestà legislativa in materia di tributi regionali e locali nell’ambito dei principi stabiliti dalla legge statale di coordinamento.
Tra le fonti del diritto tributario vi è lo Statuto dei diritti del contribuente che raccoglie le norme volte a tutelare il contribuente nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
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Il diritto penale è quella branca del diritto pubblico che disciplina tutti i fatti astrattamente sussumibili in una fattispecie di reato.
Il moderno diritto penale del “fatto” è governato da quattro fondamentali principi: principio di legalità, materialità, offensività e colpevolezza: nullum crimen sine lege, actione, iniuria, culpa.
Il brocardo nullum crimen sine lege,coniato dal criminalista tedesco Feuerbach nei primi anni dell’Ottocento, è stato cristallizzato nell’art. 1 del Codice Zanardelli del 1889 per confermarsi, con immutata definizione medesima collocazione topografica, nel codice Rocco del 1930.
In un ordinamento di matrice liberale e democratica il legislatore ha inteso ritenere penalmente rilevanti solo quelle condotte estrinsecantesi in fatti materiali, percepibili ai sensi, lasciando dunque impunite le semplici intenzioni (nuda cogitatio).
Secondo il principio di offensività una condotta illecita per essere perseguibile deve pur sempre recare un danno, inteso quale nocumento effettivo o potenziale, al bene-interesse che la norma intende tutelare.
Infine, il nostro ordinamento è fondato sul principio di colpevolezza che restringe lo spazio dell’illecito penale ritenendo penalmente rilevanti solo quelle condotte riconducibili psicologicamente ad un soggetto. Quindi, “La responsabilità penale è personale”, come afferma la stessa Costittuzione (art. 25), ma è responsabilità colpevole: nullum crimen sine culpa.
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Il processo civile telematico ha reso i giudizi più semplici e meno costosi, sia per il risparmio nel materiale di cancelleria, sia per la possibilità di seguire on line processi celebrati a distanza. La circostanza, poi, che tutti gli atti processuali (scritti difensivi, documenti, verbali e provvedimenti giudiziali) siano ormai in formato digitale consente agli utenti di studio, previa attivazione delle credenziali, di accedere al fascicolo della causa e di poter visionare in qualsiasi momento ogni documento che lo riguardi.
E’ da poco funzionante anche il processo amministrativo telematico, ed a breve diventerà operativo quello penale.
Tuttavia, al momento, i maggiori standard informativi nei confronti dell’utenza di studio, si registrano nel processo civile.
NON AVER PAURA DELLE CAUSE
SE HAI UN DIRITTO DA DIFENDERE!
Domande
più Frequenti
No, in qualsiasi procedimento giurisdizionale, quale che sia l’ambito della questione, sono tante e tali le variabili che possono intervenire che soltanto un lestofante o un avvocato privo d’esperienza possono garantirne la vittoria. Indubbiamente vi sono azioni particolarmente fondate in cui lo Studio si permette di rassicurare i clienti in ordine al buon esito della controversia, così come è dovere dello Studio avvisare della probabile soccombenza. In ogni caso lo Studio suole informare accuratamente i clienti sullo stato delle loro cause.
Per politica di studio non si richiedono compensi al primo incontro nè, tendenzialmente, a tutti gli incontri preliminari alle cause. Quando una controversia sfocia in un giudizio è prassi dello studio limitare i compensi alla sola difesa tecnica giudiziale (sempre che venga affidata allo studio). Quando, invece, la questione è di tipo esclusivamente stragiudiziale, si applicano le tariffe previste dal Decreto Ministero della Giustizia n. 55/2014 per la liquidazione dei compensi degli avvocati. In ogni caso, nei limiti del possibile, si viene sempre incontro alle esigenze ed alle difficoltà dei clienti, e si tiene conto dell’obiettivo carico di lavoro che la questione (giudiziale o stragiudiziale che sia) ha comportato.
I tempi di un giudizio civile non sono ex ante pronosticabili per la medesima ragione per cui, come visto sopra, non può garantirsi la vittoria di una controversia. Sono troppe ed imprevedibili le variabili che possono intervenire. Tuttavia, i processi civili si sono tendenzialmente accelerati e sono piuttosto rari i casi di durata ultradecennale (per i tre gradi di giudizio). In linea di massima, per delle cause civili ordinarie davanti ai Tribunali, la durata media di ogni singola fase (primo grado, appello e cassazione) è di circa due anni e mezzo. Quelle che iniziano al Giudice di Pace sono più rapide. Ovviamente è compito (oltre che dovere deontologico) dell’avvocato trovare gli strumenti per ottenere il soddisfacimento dei clienti nel più breve tempo possibile, mediante appositi strumenti cautelari o sommari disciplinati dal codice di rito ed in grado di ottenere immediatamente (sia pur interinalmente) la pretesa vantata.
I tempi dei processi penali, come é regola generale, non possono pronosticarsi. Tuttavia, a differenza che nei processi civili, il più delle volte gli imputati non hanno alcun interesse alla sollecita definizione dei giudizi. É noto, infatti, che il nostro ordinamento, a differenza di altri, prevede che l’eccessivo decorso del tempo determina l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Certo, per ogni imputato esiste generalmente una parte civile, vale a dire quel soggetto che ha subìto le conseguenze negative del reato ed intende aver ristorati i danni economici. La parte civile ha, quindi, un interesse speculare e contrario rispetto a quello dell’imputato, e punta alla più rapida definizione del caso. I recenti interventi normativi, e segnatamente la L. 23/06/2017 n. 103 (c.d. riforma Orlando) hanno inciso tanto sulla fase delle indagini preliminari quanto sulla prescrizione, modificando profondamente la fisionomia dei procedimenti penali come appena descritti velocizzando la fase propedeutica al rinvio a giudizio e neutralizzando l’abuso della prescrizione cui puntavano gli avvocati penalisti.
Medesima premessa in ordine all’impossibilita di pronosticare con certezza la durata di un giudizio vale anche per la giustizia amministrativa.
In passato questa giustizia era quella che registrava le maggiori lungaggini, ed erano frequenti i casi di giudizi che, in soli due gradi (tanti, infatti, sono i gradi amministrativi, a differenza di quelli civili e penali), registravano durate ultradecennali.
Tuttavia, con l’avvento del codice del processo amministrativo (introdotto col D.Lgs. n. 104/2010) le cose sono diametralmente cambiate, al punto che la giustizia amministrativa é probabilmente diventata, fra le tre, quella più veloce con giudizi che conducono ad una pronuncia definitiva, nei due gradi, in non più di quattro anni.
A ciò si aggiunga la possibilità d’aver accordate dai giudici, nell’arco di appena un mese dall’impugnazione, penetranti misure cautelari in grado di sospendere gli atti impugnati o d’imporre alla Pubblica Amministrazione particolari condotte onde assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso.
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I Partner di Studio
Avv. Vincenzo Sparti
-Patrocinante in Cassazione a seguito di superamento del corso della Scuola Superiore dell’Avvocatura
-Dottore di Ricerca in Diritto dell’Impresa presso l’Università degli Studi di Palermo
-Specialista in Diritto Civile giusta delibera 19.1.2024 del Consiglio Nazionale Forense
-Attualmente è Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Palermo
-Partner
vincenzosparti@gmail.com
3274447376
Oggi la tutela della libertà e dei diritti del cittadino è affidata principalmente, forse esclusivamente, alla classe forense, la sola che ha assunto come scopo e fine ultimo della propria missione la difesa del prossimo.
Il vantaggio di essere uno studio legale concentrato sul mondo del diritto a 360° è il fatto di avere sinergie trasversali
E’ sbagliato chiamarla scienza giuridica perchè il diritto, a differenza della scienza, non soggiace a regole universali dotate di carattere predittivo. Il diritto si confronta sempre con la mente umana, con le capacità intellettuali di questo o quel giudice, di questo o quel soggetto giuridico. Essere bravi avvocati significa, quindi, avere un’intelligenza in grado di far da ponte tra il sapere scientifico e la capacità di persuasione.